Come si ricicla il cotone? Processi, sfide e opportunità per la moda sostenibile

Il cotone è tra le fibre più usate al mondo, ma la sua produzione ha un forte impatto ambientale. Il riciclo riduce gli sprechi, mentre la normativa europea con raccolta differenziata ed EPR spinge verso un’economia circolare del settore.

(di Maria Carla Rota)

Il cotone è una fibra naturale ampiamente utilizzata per abbigliamento, biancheria e tessili per la casa. Di conseguenza, il suo riciclo è uno dei pilastri dell’economia circolare nel settore tessile: può ridurre gli sprechi, limitare l’uso di nuove risorse e contribuire a diminuire l’impatto ambientale dell’industria della moda. Quali sono le tecniche più utilizzate, le novità normative e le sfide ancora aperte? 

L’impatto ambientale della coltivazione del cotone 

La coltivazione del cotone richiede importanti quantità di acqua: secondo il WWF, per produrre una sola maglietta ne possono servire fino a 2.700 litri. Per fare un paragone, questa quantità potrebbe soddisfare il fabbisogno idrico di una persona per circa 900 giorni, ovvero quasi due anni e mezzo. Il motivo? Il cotone è una coltura che ha bisogno di essere abbondantemente irrigata durante tutto il suo ciclo di crescita, a cui si aggiunge anche la notevole impronta idrica che deriva da tutte le successive fasi della lavorazione e della tintura del tessuto.  

Non solo: secondo il World Resources Institute, circa il 53% della produzione globale di cotone avviene in aree con stress idrico elevato, andando quindi a competere con il fabbisogno idrico locale ed esercitando pressione sulle comunità locali e sugli ecosistemi naturali. A questo si aggiunge anche il frequente uso di pesticidi e di sostanze chimiche sia nella fase di coltivazione che di produzione, con conseguente contaminazione delle acque e ulteriore degrado ambientale. 
E ancora, l’impronta di carbonio: la produzione di un chilogrammo di cotone, pari a circa una t-shirt e un paio di jeans, può produrre fino a 3,6 kg di anidride carbonica, secondo il Carbon Trust. 

Come avviene il processo di riciclo del cotone? 

Innanzitutto, il cotone riciclato può provenire da due fonti: il pre-consumo, ovvero gli scarti generati durante la produzione, come ritagli o filati in eccesso, e il post-consumo, costituito da indumenti o tessili dismessi dai consumatori. 

Per riciclare questa fibra esistono poi due strade principali: meccanica e chimica. Nel primo caso gli indumenti o gli scarti di produzione in cotone vengono raccolti, selezionati in base alla tipologia e al colore e successivamente sfilacciati per ottenere una fibra grezza, che può essere nuovamente filata. Spesso le fibre riciclate vengono mescolate con cotone vergine per migliorarne la resistenza, dato che la lavorazione tende ad accorciare le fibre originali.  

Nel riciclo chimico, invece, si utilizzano processi in grado di separare la cellulosa dalle impurità, ricreando fibre di qualità molto vicina a quella originaria. Questa tecnologia, sebbene promettente, è al momento meno diffusa, perché più costosa e più impattante a livello energetico. 

Perché riciclare il cotone è importante 

I vantaggi del riciclo del cotone sono numerosi: si riduce la domanda di nuove coltivazioni, si limita il volume di scarti tessili in discarica e si risparmia energia, dato che la lavorazione del cotone riciclato ne richiede meno rispetto a quello vergine. 

Il processo potrebbe essere ulteriormente ottimizzato in futuro, considerato che al momento rimangono alcune criticità ancora aperte: dopo il processo meccanico le fibre sono più corte e meno resistenti, è difficile separare il cotone dalle fibre sintetiche nei tessuti misti, i costi di raccolta differenziata e di lavorazione sono piuttosto elevati.  

Accanto al riciclo tradizionale, c’è anche la nuova sfida del riuso creativo (o upcycling), che si sta diffondendo sempre di più: vecchi capi in cotone vengono trasformati in nuovi prodotti di design, evitando la fase di sfilacciatura e preservando la qualità del tessuto. 

Raccolta differenziata ed EPR 

In questo contesto, la normativa europea sta giocando un ruolo cruciale. Tra i pilastri della strategia dell’Unione c’è l’introduzione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), che assegna ai produttori l’onere della gestione del fine vita dei prodotti: nel 2026 o nel 2027, a seconda dell’iter burocratico, ogni Stato membro dell’UE dovrà adottare il proprio schema EPR. 

Una novità che si va ad aggiungere all’obbligo di raccolta differenziata entrato in vigore il 1° gennaio 2025 (l’Italia lo ha anticipato al 2024), ai sensi dell’EU Waste Framework Directive (WFD). Questo significa che i capi in cotone, così come altri materiali tessili, non possono più essere conferiti nel rifiuto indifferenziato, ma devono seguire un flusso dedicato.  

Il futuro del cotone riciclato dipenderà quindi dalla capacità di integrare innovazioni tecnologiche, supporto normativo e consapevolezza dei consumatori. Per facilitare questa trasformazione è centrale il ruolo svolto da imprese come Haiki+, che si occupa della gestione sostenibile dei rifiuti tessili, ma non solo, in linea con i principi di prossimità, recupero e smaltimento sicuro, in modo da trasformare i materiali di scarto in nuove materie prime e fonti energetiche. 

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