Sul totale nazionale di 161,4 milioni di tonnellate metà arriva dal settore costruzioni e demolizioni: i numeri dell’ultimo report ISPRA
(di Maria Carla Rota)
In Italia al 2022 il 50% dei rifiuti speciali deriva dal settore delle costruzioni e demolizioni: si tratta di quasi 80,8 milioni di tonnellate, praticamente la metà rispetto al totale di 161,4 milioni di scarti derivanti da attività industriali, commerciali, artigianali, di servizi, di trattamento dei rifiuti e di risanamento ambientale. Una produzione complessiva in diminuzione di oltre 3,4 milioni rispetto al 2021 (-2,1%), principalmente a causa del rallentamento dell’economia, alle prese con il conflitto in Ucraina e la crisi energetica. In larga maggioranza si tratta di rifiuti speciali non pericolosi (93,8%), che ammontano a 151,4 milioni di tonnellate, in calo di 2,7 milioni (-1,8%), mentre quelli pericolosi scendono del 6,4%, quasi 680.000 tonnellate in meno, per un totale che sfiora i 10 milioni. In quest’ultimo caso è il settore manifatturiero a incidere maggiormente, con 3,7 milioni di tonnellate (37,3%). È questo, in sintesi, il bilancio che emerge dal ventitreesimo Rapporto Rifiuti Speciali dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).
Cosa sono i rifiuti speciali
I rifiuti speciali si distinguono dai rifiuti urbani perché derivano da attività produttive anziché provenire da abitazioni civili e locali commerciali, e al loro smaltimento provvedono specifiche aziende autorizzate, anziché la pubblica amministrazione con il finanziamento di contributi fiscali.
Come quelli urbani, i rifiuti speciali si dividono in due sottocategorie: pericolosi e non pericolosi. I primi contengono un’elevata dose di sostanze nocive, tossiche, sensibilizzanti, inquinanti, mutagene, corrosive o infette per l’ambiente, per cui vanno trattati in modo da renderli innocui. Rientrano in questo elenco l’amianto, la lana di roccia, le vernici, le traversine ferroviarie, i materiali da brucio, i medicinali o le batterie, oltre a svariati materiali di tipo sanitario e ospedaliero.
Al contrario, i rifiuti speciali non pericolosi, non avendo al loro interno sostanze inquinanti o potenzialmente dannose, non rappresentano una minaccia per l’ecosistema e la salute umana: in questa classificazione rientrano, per esempio, gli scarti della lavorazione del legno e delle costruzioni e demolizioni, così come gli imballaggi, gli indumenti e i rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, caccia e pesca.
Come avviene lo smaltimento dei rifiuti speciali
Lo smaltimento dei rifiuti speciali è regolato da un articolato insieme di leggi e disposizioni, che prevede severi requisiti e rigorosi protocolli: questi materiali vanno gestiti separatamente e conferiti in apposite discariche, dove possono essere trasportati solo da aziende autorizzate, attraverso percorsi tracciati.
Per questo è fondamentale rivolgersi a un consulente certificato e qualificato, dotato di una pluralità di competenze specifiche e tecnologie d’avanguardia, come Haiki+, che fornisce alla clientela un servizio di consulenza a 360 gradi e lo sviluppo di progetti personalizzati. Haiki+ ha una capacità di lavorazione dei rifiuti pari a oltre 600.000 tonnellate all’anno, grazie alle sue quattro divisioni specializzate: Recycling, che si occupa della gestione sostenibile degli scarti, da trasformare in nuove materie prime e fonti energetiche, Mines, specializzata nello smaltimento certificato di scarti non recuperabili, Cobat, che fornisce soluzioni integrate per diverse tipologie di materiali, come tessile, moduli fotovoltaici e pneumatici fuori uso, ed Electrics, dedicata alla raccolta, trattamento e valorizzazione dei RAEE.
Provvedendo a uno smaltimento corretto e attento all’ambiente non solo si evitano rischi di sanzioni, danni d’immagine e conseguenze negative sul fronte operativo, ma ci si apre anche a una serie di opportunità inedite per fare impresa, in ottica di economia circolare.
Settori di produzione e distribuzione geografica dei rifiuti speciali
Nel nostro paese si gestiscono rifiuti speciali per 176,6 milioni di tonnellate (-0,8% sul 2021), di cui una parte importati: 167,1 milioni sono non pericolosi e 9,5 milioni pericolosi. Il recupero di materia rappresenta l’aspetto principale della gestione (72,2%, ovvero 127,6 milioni di tonnellate), con il Nord che recupera oltre metà del totale gestito a livello nazionale (53,3%, oltre 94 milioni di tonnellate). In questa macroarea si concentra più della metà degli impianti: 5.905, a cui se ne aggiungono 1.952 al Centro e 2.949 al Sud, per un totale di 10.806, suddivisi tra sistemi di recupero di materia (4.662), coincenerimento (296), incenerimento (70) e discariche operative (261).
Ma quali sono i principali settori di produzione dei rifiuti speciali? Dopo costruzioni e demolizioni si incontrano le attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento, che contribuiscono per il 22,8% con 36,8 milioni di tonnellate, quindi il settore manifatturiero, che ne produce 28,3 milioni di tonnellate (17,5%), e poi altre attività economiche, che tutte insieme contribuiscono con quasi 15,6 milioni di tonnellate (9,7%).
A livello territoriale, il Nord Italia è la macroarea che produce più rifiuti speciali: quasi 92,7 milioni di tonnellate, di cui 35,3 milioni a carico della Lombardia (21,9% della produzione nazionale), seguita da Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Al Centro, che si ferma a 28,1 milioni, il Lazio, con quasi 11,2 milioni di tonnellate (6,9%), è subito seguito dalla Toscana, mentre al Sud, con 40,6 milioni di tonnellate, è prima la Campania (10,3 milioni, 6,4%), seguita dalla Puglia e dalla Sicilia.
Rifiuti speciali con criticità gestionali
Per quanto riguarda le criticità di smaltimento, dovute alla quantità o alla complessità del processo, secondo il Rapporto ISPRA in Italia si producono, tra gli altri, 243.000 tonnellate di rifiuti contenenti amianto (-28,3% rispetto al 2021), quasi 3,2 milioni di tonnellate di fanghi da depurazione delle acque reflue urbane (- 1,3%) e poco più di 258.000 tonnellate di rifiuti sanitari, di cui circa 231.000 tonnellate sono rifiuti pericolosi (-3%). Tra le buone pratiche, infine, quella del riciclo del 79,8% dei rifiuti da costruzione e demolizione, quota che va decisamente oltre l’obiettivo del 70% fissato per il 2030 a livello normativo.