Di fronte all’aumento della domanda di materie prime critiche (MPC) e alla loro limitata disponibilità in Europa, le aziende stanno rivolgendo una crescente attenzione a una fonte inusuale di risorse: le discariche. Questo approccio innovativo, noto come landfill mining, sta ridefinendo la gestione dei rifiuti e il recupero delle MPC, allineandosi agli ambiziosi obiettivi ambientali ed economici dell’UE.
Vediamo allora come l’estrazione di materie prime critiche dalle discariche possa rappresentare un’opportunità per le imprese lungimiranti.
Le materie prime critiche sono risorse naturali o materiali che rivestono un’importanza strategica per l’economia di un Paese o per determinati settori industriali e che sono soggette a rischi di approvvigionamento, di disponibilità ridotta o di instabilità dei prezzi. Queste risorse sono considerate critiche proprio perché la loro scarsità o instabilità potrebbe avere un impatto significativo sull’economia, sulla sicurezza e sulla competitività di un Paese o di un certo comparto.
La Commissione Europea continua a rivedere e aggiornare l’elenco delle materie prime critiche: se la prima lista è stata introdotta nel 2011 e conteneva 14 elementi, l’ultimo aggiornamento del 2020 ne include 30 come antimonio, bauxite, litio, magnesio, tungsteno e il gruppo delle terre rare leggere e pesanti.
Questo incremento nel numero è attribuibile a diversi fattori, tra cui l’impegno nel ridurre le emissioni di gas serra e l’evoluzione tecnologica: questi sviluppi hanno creato una maggiore richiesta di risorse, portando a un’intensificazione dell’uso delle risorse stesse. L’unico elemento che è stato rimosso dall’elenco è l’elio: la sua importanza strategica per l’Europa è diminuita nel tempo.
Tuttavia, a livello globale, la domanda di materie prime critiche sta vivendo una forte impennata: un esempio è la domanda di litio che, secondo la Commissione Europea, può aumentare di 89 volte entro il 2050 a fronte di un’estrazione pari all’1% del totale globale entro i confini europei. È proprio qui che l’Unione Europea, che dipende in larga misura dalle importazioni da Paesi con un livello di governance inferiore, si trova ad affrontare le vulnerabilità delle sue catene di approvvigionamento, con dipendenze significative da singole nazioni per materiali come il magnesio (Cina, 97%) e il litio (Cile, 97%).
In risposta al rischio geopolitico legato alla fornitura di materie prime critiche, l’Unione Europea ha emanato il Critical Raw Materials Act (CRMA) che mira a diversificare le fonti di approvvigionamento e aumentare l’autosufficienza, con l’obiettivo di estrarre il 10%, lavorare il 40% e riciclare il 15% del volume di consumo annuo di materie prime critiche entro il 2030. Tuttavia, con l’aumento delle restrizioni all’esportazione che, attualmente, interessa circa il 10% degli scambi globali influenzando così disponibilità e prezzi, il bisogno di garantire supply chain sostenibili e diversificate è più che mai elevato.
In questo contesto, le discariche assumono tutt’altra veste. Di norma considerate un luogo di riposo per i rifiuti, sono oggi una fonte di risorse di rilevanza strategica per il passaggio verso un modello di economia circolare. Sepolti tra i cumuli si nascondono quantità significative di materiali preziosi che sono stati scartati prima che venissero sviluppate le tecnologie di riciclaggio o prima che fossero riconosciuti come MPC.
Il processo di estrazione delle materie prime critiche dalle discariche, che comporta lo scavo e la lavorazione degli scarti per recuperare materie prime secondarie, offre un duplice vantaggio: da un lato limita l’impatto ambientale dei rifiuti; dall’altro fornisce una fonte alternativa di MPC. Recuperando i materiali dalle discariche e reintroducendoli nel ciclo produttivo, non solo vengono preservate le risorse naturali ma viene anche minimizzato l’impatto dell’estrazione e dello smaltimento dei rifiuti sull’ecosistema circostante.
Per le aziende, l’estrazione di MPC dalle discariche rappresenta un’opportunità dalla valenza strategica. Attraverso il landfill mining (o urban mining) diventa più facile assicurarsi una fornitura di materie prime più stabile e potenzialmente più economica, in grado di attenuare i rischi associati alle catene di approvvigionamento e beneficiare, nel caso di aziende impegnate nell’attività di landfill mining, del sostegno normativo e degli incentivi previsti da diverse iniziative comunitarie come il programma NEW-MINE.
L’Italia si sta concentrando sulla lavorazione delle materie prime seconde, con un interesse particolare nel riciclo delle batterie, un settore in rapida espansione e strategico per la transizione energetica. Tuttavia, il Bel Paese presenta una realtà contrastante.
Secondo una recente pubblicazione ENEA, il tasso di utilizzo circolare delle materie prime critiche in Italia si è attestato al 18,4% (che arriva fino all’8% per le Terre Rare pesanti e al 3% per quelle leggere) ed è sicuramente superiore alla media dell’Unione Europea, ferma all’11,7%. Dati che, però, sono un campanello d’allarme: come riporta The European House Ambrosetti, più dell’80% delle materie prime riciclate non ritorna nel ciclo economico per contribuire alla circolarità. Se si riuscisse a invertire questa tendenza, si stima che entro il 2040 il riciclo potrebbe coprire dal 20% al 32% del fabbisogno annuale italiano di materie prime strategiche.
La sfida rimane tale soprattutto per il miglioramento dei sistemi di raccolta e lo sviluppo di tecnologie per il recupero di materie prime critiche da rifiuti RAEE. E, mentre l’Europa si avvia lungo un percorso di sviluppo sostenibile, abbracciare il potenziale del landfill mining si conferma fondamentale per garantire l’approvvigionamento di materie prime critiche e guidare la crescita economica del sistema Paese e del mercato.
Fonti consultate: