Lo smaltimento dei rifiuti urbani - o meglio, dei rifiuti aziendali assimilati agli urbani - non merita meno attenzione rispetto a quello dei rifiuti speciali, ovvero di specifica provenienza extra-domestica. Le procedure che chiudono il ciclo di vita degli scarti urbani sono infatti meno articolate e complesse, ma devono comunque essere gestite con la dovuta accuratezza per evitare sanzioni o danni d’immagine.
Per definizione un’azienda non produce rifiuti urbani, ma speciali: in questo novero, tuttavia, rientrano anche gli scarti che per loro natura possono essere assimilati a quelli di provenienza urbana, normalmente prodotti dalle abitazioni civili.
Ma di quali rifiuti stiamo parlando nello specifico? Il D.lgs. 116/2020 puntualizza che per “assimilati agli urbani” si intendono quei “rifiuti speciali che abbiano una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani o, comunque, siano costituiti da manufatti e materiali simili a quelli elencati” nella deliberazione dedicata. Vediamo alcuni esempi qui di seguito:
Questi scarti aziendali per la legge possono dunque ricevere lo stesso trattamento dei rifiuti urbani, normalmente in mano ai servizi di raccolta gestiti dalla Pubblica Amministrazione.
Per i rifiuti non pericolosi, si procedere con la separazione dalle altre tipologie di scarto, conferendoli negli appositi contenitori a seconda delle indicazioni fornite a livello locale, mentre maggior attenzione va posta per i rifiuti pericolosi: i principali sono i medicinali scaduti, i toner e le cartucce esausti, pile e batterie esauste nonché i prodotti e relativi contenitori etichettati "T" (tossici) o "F" (infiammabili).
Davanti a queste classificazioni, ognuna dotata di specifica procedura, un’impresa può avere difficoltà a stabilire “quali” scarti affidare a “chi": ecco allora le 5 mosse chiave da seguire per il corretto trattamento dei rifiuti urbani.
Il primo passo da compiere è mettersi nelle condizioni di conoscere perfettamente le diverse tipologie di rifiuti prodotti in azienda: si tratta quindi di effettuare un vero e proprio Waste Audit, definendo quali e quanti rifiuti vengono prodotti e come trattarli, così come le fasi del processo operativo.
Sulla base del Waste Audit si sviluppa poi un workflow di gestione che consente non solo di trattare o recuperare i rifiuti nel pieno rispetto delle norme, ma anche di individuare facilmente eventuali punti critici e sprechi anche nella filiera.
I rifiuti, abbiamo visto, possono essere di numerose tipologie e di differenti livelli di pericolosità. Di questo “mare magnum” è fondamentale che tutto il personale sia coinvolto nel processo di corretta gestione, partendo proprio da abitudini virtuose nei confronti di quei rifiuti assimilati agli urbani.
Sulla base del Waste Audit, diventa semplice determinare le azioni più efficaci su questo fronte: non solo la predisposizione di contenitori appositi negli uffici, ma anche momenti ad hoc per diffondere buone pratiche nella gestione dei rifiuti in ottica circolare.
La legge offre un certo margine di manovra alle imprese in termini di smaltimento dei rifiuti urbani. Sulla base dell’iniziale Waste Audit, l’azienda oggi può pianificare precise procedure in questo senso: affidarsi cioè al servizio di raccolta pubblica gestito dalla Pubblica Amministrazione, oppure - grazie alle novità introdotte dal D.lgs. n. 116/2020, emanate per favorire maggiore libertà e concorrenzialità tra gestore pubblico ed operatori privati - conferire “al di fuori del servizio pubblico comunale i propri rifiuti urbani, consegnandoli ad un soggetto autorizzato che rilascerà apposita attestazione”.
Le imprese possono quindi stipulare una convenzione o un contratto di tipo privatistico sia con l'Ente gestore del servizio pubblico, che con un soggetto terzo autorizzato, in questo caso fissando i parametri tecnici ed economici per una gestione efficiente.
L’azienda, se nelle facoltà, potrebbe anche valutare l’ipotesi di conferire direttamente i propri rifiuti urbani negli ecocentri comunali. Si tratta, però, di un’opzione non sempre vagliabile: è importante valutare quanto previsto in tal senso dalle specifiche deliberazioni comunali o dal regolamento locale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Il ricorso all’ecocentro comunale è possibile nel solo caso in cui questo sia espressamente previsto dal Comune, tenendo presente che è assolutamente necessaria l’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali per tutte le aziende che trasportano i propri rifiuti.
Quest’ultima prescrizione - relativa all’obbligo di iscrizione all’Albo - apre le porte all’ultima, importantissima linea guida: un atteggiamento superficiale nella gestione dei rifiuti urbani, indebitamente considerati più comuni e innocui, può infatti costare molto caro all’impresa in termini di denunce e sanzioni.
L’esempio della mancata iscrizione all’Albo dei gestori ambientali è emblematico: il D.lgs. 152/2006 precisa, infatti, che “chiunque effettui una attività di trasporto rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione” viene punito con:
Data l’importanza e la delicatezza della questione, anche per lo smaltimento dei rifiuti urbani è importante che l’impresa si affidi a un consulente specializzato. Obiettivo finale di questa partnership deve essere la definizione di un programma operativo di gestione globale degli scarti, attraverso soluzioni pratiche e personalizzate che rispondano appieno non solo alle richieste normative, ma anche alla forte e crescente pressione cui l’impresa è sottoposta in termini di responsabilità sociale e ambientale.
Fonti consultate: