Rifiuto, end of waste e sottoprodotto sono termini cruciali per quelle imprese che mirano all'eccellenza nel recupero e riciclo dei materiali. Questi concetti, spesso utilizzati in modo intercambiabile, hanno in realtà significati ben distinti, con relative implicazioni riguardo alla loro gestione.
Comprenderne correttamente le specificità apre la via a un uso più efficiente delle risorse, allineando le aziende con i principi dell’economia circolare e della sostenibilità. Scopriamo quindi quali sono le differenze tra rifiuto, end of waste e sottoprodotto dal punto di vista pratico e normativo.
In base all’articolo 183 del D.Lgs. 152/2006, con rifiuto si intende qualsiasi sostanza o oggetto giunto a fine ciclo di utilizzo, di cui il detentore abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi. Pertanto, è classificabile come:
Lo smaltimento deve rispettare il principio della gerarchia dei rifiuti:
L'end of waste, o cessazione della qualifica di rifiuto, rappresenta il processo attraverso cui un materiale smette di essere considerato rifiuto una volta che è stato sottoposto a un'operazione di recupero e assume lo status di prodotto. Questa definizione è introdotta nella direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), il cui articolo 6 stabilisce che un materiale non è più considerato rifiuto dopo essere stato recuperato, come nel caso del riciclo, e quando soddisfa specifici requisiti definiti in base a determinate condizioni. Tra queste ultime annoveriamo:
Questa stessa definizione è stata adottata nell'ordinamento italiano attraverso il comma 1 dell'articolo 184-ter del Decreto Legislativo n. 152/2006.
Infine, in base all'articolo 184-bis presente nel D. Lgs. 152/06, uno scarto, per essere classificato come sottoprodotto, deve soddisfare precisi requisiti:
La differenza tra rifiuto, end of waste e sottoprodotto può risultare di non immediata comprensione, ma è imprescindibile per assicurarne una gestione ottimale. Il rifiuto è un materiale o un oggetto giunto a fine ciclo di vita utile e destinato al disfacimento. Il sottoprodotto, invece, è uno scarto che emerge da un processo produttivo e, pur non essendo l'obiettivo principale di tale processo, può essere utilizzato come materia prima in altre produzioni, senza aver mai assunto la definizione di rifiuto. L'end of waste nasce invece come rifiuto ma, a seguito del recupero, perde questa denominazione, trasformandosi in una risorsa per ulteriori processi produttivi.
Facciamo qualche esempio concreto. I fondi di caffè esausti sono un classico rifiuto di consumo quotidiano, ma se trattati e trasformati in pellet per stufe, trascendono lo status di rifiuto e diventano end of waste. Al contrario, nella produzione di olio d'oliva, l'acqua di vegetazione (o margine) che si separa durante il processo non è mai considerata rifiuto, ma assume direttamente la forma di sottoprodotto utile nell'estrazione di composti fenolici o come base per la produzione di biogas.
Guardando ad altri esempi, i ritagli di tessuto dalle industrie tessili sono spesso un rifiuto, ma se vengono riciclati per crearne di nuovi, diventano end of waste, pronti per un nuovo ciclo produttivo. Nel settore alimentare, i residui organici possono essere considerati rifiuti, ma se vengono compostati per produrre fertilizzante, trasformano anche qui la loro natura da rifiuto a end of waste.
Passando ai sottoprodotti, le scorie metalliche provenienti dai processi industriali possono essere riutilizzate come materie prime per la produzione, senza mai essere classificate come rifiuti. Allo stesso modo, gli scarti di lavorazione delle industrie alimentari, come le bucce di frutta e verdura, possono essere utilizzati per produrre compost, trasformandosi in sottoprodotti impiegabili in nuovi contesti.
Questi esempi evidenziano come, attraverso processi specifici, i materiali possano transitare da rifiuto a end of waste o emergere direttamente come sottoprodotti, sfruttando al meglio le risorse e riducendo l'impatto ambientale associato allo smaltimento.