Nel 2024 quasi metà delle imprese nel nostro paese ha messo in pratica almeno una soluzione di economia circolare, soprattutto al Nord e tra le realtà di maggiori dimensioni, evidenziando come la circolarità sia una leva importante per la competitività.
(di Maria Carla Rota)
Trasformare in punto di forza quello che apparentemente è un limite, ovvero la disponibilità non infinita di risorse naturali sulla Terra. Questo è, in sostanza, il senso dell’economia circolare e l’Italia lo sta cogliendo bene: il nostro Paese è infatti uno dei più virtuosi in Europa, se si guarda al percorso di transizione verso modelli di produzione e consumo più sostenibili.
L’immagine emerge dal nuovo report della Direzione Strategie Settoriali e Impatto di CDP - Cassa Depositi e Prestiti, che fornisce un’analisi della situazione attuale, ma riflette anche sulle prospettive future, ponendo un interrogativo: quali strategie mettere in campo per mantenere l’attuale leadership?
I punti di forza dell’Italia
Attualmente il 42% delle imprese italiane ha già adottato almeno una misura di economia circolare, mentre un ulteriore 22% intende farlo in futuro. La concentrazione maggiore delle aziende circolari si registra nelle regioni del Nord Italia, in particolare in Lombardia, Piemonte e Veneto, e tra le realtà di maggiori dimensioni.
L’ottimo posizionamento dell’Italia deriva soprattutto dagli indicatori che fanno riferimento alla gestione dei rifiuti, settore in cui Haiki+ offre un ecosistema consolidato e innovativo, che traduce in pratica le teorie dell’economia circolare sull’intero territorio nazionale.
Per quanto riguarda il tasso di avvio a riciclo dei rifiuti totali (urbani e speciali), l’Italia svetta in Europa, forte di un sistema manifatturiero decisamente orientato al recupero dei rifiuti da attività produttive. Bene anche la performance che riguarda la produttività delle risorse, ovvero la massimizzazione del valore economico generato per unità di consumo di materia: in questo caso siamo al quarto posto in UE, preceduti da Paesi Bassi, Lussemburgo e Irlanda.
A ciò si aggiunge un tasso di utilizzo di materiali circolari che nel 2023 si attesta al 20,8%, quasi il doppio della media UE (11,8%) nonché superiore a quello delle principali economie europee.
Economia circolare: i vantaggi
I modelli di produzione e di consumo circolari non solo contribuiscono a non sprecare le risorse, preservando il valore di materiali e prodotti il più a lungo possibile e riducendo al minimo la produzione di rifiuti, ma diminuiscono anche il rischio di interruzione delle catene del valore e costituiscono un motore per la competitività delle imprese.
Ad esempio, grazie a una maggiore capacità di riciclo si può ridurre la dipendenza dalle importazioni dall’estero, un aspetto molto importante soprattutto se si pensa a metalli e materie prime critiche. Proprio dal punto di vista della dipendenza dalle importazioni, l’Italia si posiziona al quinto posto tra i Paesi UE, con un valore del 48% contro quello complessivo dell’Unione pari al 22%: la limitata disponibilità di risorse naturali sul nostro territorio ha evidentemente spinto le imprese a sviluppare modelli produttivi più efficienti e sostenibili.
Se si guarda ai numeri, complessivamente le pratiche adottate dalle imprese manifatturiere italiane hanno generato un risparmio rispetto ai costi di produzione superiore a 16 miliardi di euro, anche se questo corrisponde solo al 15% del potenziale teorico stimato al 2030.
A livello di performance economico-finanziarie, le aziende che hanno adottato pratiche circolari dimostrano una maggiore capacità di coprire il costo del debito tramite il risultato operativo, una maggiore generazione di cassa da destinare all’investimento e un minor livello di indebitamento.
Negli ultimi tre anni, inoltre, la probabilità di default si è rivelata inferiore, anche nei periodi caratterizzati da forti shock esogeni legati alle materie prime.
Maggiore, invece, il potenziale innovativo, dato che le aziende circolari puntano su nuove tecnologie, nuovi processi produttivi e nuovi modelli di business: anche per questo l’Italia è seconda in Europa per numero di brevetti circolari, di cui oltre la metà depositati da PMI.
Come mantenere la competitività in futuro?
Se questa è la situazione attuale, è fondamentale capire come mantenere questi ottimi livelli di circolarità: dal report di CDP emerge infatti che l’Italia, se da un lato eccelle, dall’altro fatica a migliorare ulteriormente i propri risultati. Tra i fattori che incidono, c’è un livello di investimento inferiore rispetto agli altri principali Paesi europei: questo è dovuto sia al difficile contesto economico affrontato negli ultimi anni, sia alla struttura imprenditoriale tipica del nostro Paese, fatta in larga parte di piccole e microimprese, che hanno una limitata capacità di investimento.
La forza propulsiva delle PMI va quindi sostenuta e valorizzata al massimo, se si vuole fare in modo che la transizione ad un’economia circolare possa proseguire. Come? Tre sono le principali strategie di sostegno: innanzitutto, un miglior accesso agli investimenti in macchinari, tecnologie e beni intangibili (vedi misure come Transizione 4.0 e Transizione 5.0, progettate per sostenere la ricerca e l’innovazione, offrendo incentivi fiscali mirati e favorendo gli investimenti per la transizione ecologica e digitale).
In secondo luogo, la finanza sostenibile: dato che le PMI hanno più difficoltà di accesso al credito, motivo per cui quasi una su due ricorre all’autofinanziamento, questo può essere uno strumento cruciale per colmare i gap di investimento in economia circolare. In quest’ottica gli Istituti Nazionali di Promozione, con la loro visione a lungo termine, svolgono un ruolo centrale.
La terza linea d’azione, infine, dovrebbe essere quella di un sempre maggiore coinvolgimento in ecosistemi che consentano la collaborazione e lo scambio di pratiche e conoscenze.